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martedì 14 maggio 2013

Italia: probabile tassa sulle sigarette elettroniche

In questi giorni il governo Letta si riunirà nell'Abbazia di Spineto, sulle colline senesi, per discutere su come procurare i fondi per far fronte ai debiti della pubblica amministrazione. Tra i vari provvedimenti da adottare e gli emendamenti portati in discussione in questa specie di conclave, ne viene fuori uno in particolare, presentato dai relatori del decreto sui debiti della pubblica amministrazione. L'emendamento presuppone l'introduzione di un'accisa anche sui prodotti contenenti nicotina o comunque sostanze che sostituiscono l'uso del tabacco. In pratica tutto ciò che sostituisce l'uso diretto del tabacco verrà tassato allo stesso modo e con le stesse accise. Molto probabilmente questo emendamento verrà approvato perchè proposto dai relatori che raccolgono i voti della maggioranza. Certo, la norma sulle sigarette elettroniche è davvero ben poca cosa, pochi milioni di euro di gettito, ma rappresenta comunque una novità. Una norma di questo tipo nasce dalla perdita di gettito di circa 200 milioni di euro avuta tra dicembre del 2012 e febbraio 2013, dovuta alla crescita di due fenomeni: il contrabbando crescente ed, appunto, il fumo elettronico. Infatti, attualmente, sull'acquisto delle sigarette elettroniche e delle relative ricariche viene pagata solamente l'IVA, ma non le accise previste per il tabacco ed i prodotti da fumo, con conseguente perdita economica per il fisco. Secondo i relatori, questa nuova accisa andrebbe a coprire l'emendamento sul "Patto di Stabilità verticale", cioè quello che darebbe spazio di manovra economica alle Regioni per potere girare fondi a Comuni e Province che devono fare fronte ad impegni di spesa inerenti agli investimenti. Questo emendamento rientra quindi in quei famosi 40 miliardi di euro che servono al governo per pagare parte dei debiti della pubblica amministrazione.
Attenti fumatori, vero o elettronico che sia, il vizio del fumo non sfuggirà agli occhi vigili del fisco italico.



giovedì 7 marzo 2013

Interessi sugli interessi: a Palermo banche condannate

Le banche in genere, e nel caso quelle italiane, vengono spesso equiparate agli "usurai": si da il caso che alcune volte questo è proprio reale. Il caso viene sollevato a Palermo, dove la Monte Paschi di Siena e la Unicredit sono state condannate a pagare i clienti che hanno dimostrato di avere subito una forma di usura da parte di questi istituti. A dimostrare questa tesi è stato l'imprenditore e artigiano Nino Parrucca, titolare di una famosa fabbrica di ceramiche che, nel 2007, aveva avuto un'apertura di credito dalla Monte Paschi di Siena: l'imprenditore ha dimostrato che i tassi di interesse applicati superavano i limiti previsti dalla legge. Infatti, l'imprenditore, per potere pagare i saldi negativi del conto corrente dovuti al calcolo dei tassi e degli interessi, e per coprire un debito inferiore ai 100 mila euro, eveva dovuto contrarre un altro finanziamento. Il debito si è poi rivelato inesistente, ma questa situazione aveva costretto Parrucca a convertire i contratti dei dipendenti da tempo pieno a parziale ed a rinunciare alle fiere ed alle manifestazioni che garantivano la promozione della propria azienda, con conseguente danno.  A tal proposito, il giudice della terza sezione del tribunale di Palermo, ha ordinato ad un perito di fare degli accertamenti in merito, valutando se effettivamente i tassi e le commissioni di massimo scoperto applicate ai debiti di Parrucca siano stati usurari.  Il giudice ha così condannato la Monte Paschi a risarcire Parrucca per un importo di 61 mila euro, a fronte dei 95 mila che invece avrebbe dovuto incassare dall'imprenditore. Un ribaltone, questo, che conferma la tesi di molti cittadini che pensano e dicono di essere soggetti ad usura da parte delle banche, quando queste elargiscono del credito. Sempre a Palermo il caso di una coppia di anziani  contro Unicredit. Questo caso è stato sottoposto alla Terza sezione della Corte d'Appello di Palermo, ma non riguarda l'usura, almeno non nel senso stretto della parola, ma piuttosto "l'anatocismo bancario", ossia la capitalizzazione degli interessi su un capitale, in pratica il calcolo degli interessi sugli interessi. I due coniugi avevano un debito presso la ex Sicilcassa, poi integrata al Banco di Sicilia e Unicredit, di 112 milioni di lire nel dicembre 1996, ma a distanza di anni si sono ritrovati ad incassare da Unicredit ben 127 mila euro. Le banche pagano la propria ingordigia. 
I giudici sembra che scendano sempre più in campo in merito alle questioi dei tassi debitori, della tutela dei consumatori ed anche per ciò che concerne la presunta usura bancaria. Ben vengano questi episodi di denuncia poichè possono essere stimolo affinchè si  scoprano altri casi simili. 
E voi, siete sicuri di non essere stati raggirati dalla vostra banca? Provate a chiedervelo.




venerdì 8 febbraio 2013

Ventenne accusata di essere una strega

E' possibile che ancora oggi, nel 2013, ci siano posti nel mondo dove si dà la caccia alle streghe? Ebbene, si. La storia arriva da Mount Hagen, cittadina della Papa Nuova Guinea, e riguarda una ragazza di venti anni, Kepari Leniata, accusata di avere ucciso con la stregoneria un bambino di 6 anni. Il bambino è morto in ospedale nella giornata di martedi, dopo avere accusato dolori allo stomaco e al petto. A questo punto, i parenti del bimbo, probabilmente per vendetta, avrebbero puntato il dito contro Kepari accusandola di essere una strega, scatenando così allo stesso tempo la furia degli abitanti della cittadina. La ragazza, dopo essere stata catturata, è stata spogliata, legata, torturata con violenza e successivamente ricoperta di gasolio e bruciata viva. Il brutale assassinio è stato consumato di fronte a centinaia di persone, bambini compresi. Mentre la povera Kepari veniva avvolta dalle fiamme, tutti quelli che assistevano al rogo scattavano anche le fotografie del crudele delitto. Il quotidiano The Post Courier ha riportato questa notizia nella sua versione web corredata anche dalla documentazione fotografica.
Possono ancora esistere barbarie di questo tipo?




FONTE

venerdì 1 febbraio 2013

Bambino curato con la marijuana

USA - Il caso riguarda una famiglia dell'Oregon. Alex, un bambino di 11 anni, soffre di una rara malattia genetica, la "sclerosi tuberosa", conosciuta anche come "sindrome di Bourneville-Pringle", che causa la crescita di tumori non maligni in diversi organi del corpo. Praticamente questa sindrome causa al soggetto una "furia autodistruttiva" e, per diverse volte, sono stati proprio i genitori a salvare Alex mentre cercava di sbattere la testa contro il muro. Dopo svariati consulti medici e dopo avere provato qualsiasi trattamento convenzionale, hanno deciso di provare con la marijuana. Il tipo di cura ha sollevato molte polemiche, ma ad oggi sembra essere stata l'unica a dargli sollievo. I genitori di Alex dichiarano di avere provato diversi farmaci consigliati dallo psichiatra, ed anche lo sport: sono arrivati anche ad allestire una camera sensoriale nel garage sfruttando le tecniche di comunicazione, ma non hanno avuto nessun risultato in quanto Alex continuava con i comportamenti violenti. Vista l'inefficienza dei trattamenti, la madre ha deciso di provare quello alternativo e, dopo l'approvazione di un medico sull'uso del farmaco, il trattamento ha dato i suoi frutti con risultati sorprendenti. Il bambino è attualmente ospitato in una Casa famiglia, ma qui si rifiutano di somministrargli la marijuana così, i suoi genitori, sono costretti a portarlo fuori per tre volte a settimana. Ovviamente non mancano le critiche, ma Alex non è il primo paziente ad essere curato con la cannabis. Infatti, ci sono un totale di 52 ragazzini che lo Stato ha autorizzato a fare uso della droga leggera per tutelare la propria salute.
Per Alex, come per gli altri ragazzini, è l'unica cura che gli permette di vivere.

giovedì 31 gennaio 2013

Bimbo di 7 anni arrestato per 5 dollari

New York - Sempre dagli Stati Uniti storie di violenze sui bambini. Questo è il caso di un bimbo di 7 anni, Wilson Reyes, accusato da un compagno di scuola di avergli rubato "5 dollari". La storia si è svolta ad inizio dicembre 2012 nel Bronx, ma solo adesso è venuta fuori perchè raccontata dal New York Post a seguito della decisione della madre del piccolo che ha fatto causa al NYPD per i maltrattamenti subiti dal figlio. I protagonisti della violenza questa volta sono proprio i poliziotti che si sono recati presso la scuola per "arrestare il bimbo": infatti lo avrebbero ammanettato ad un tubo del muro per circa 4 ore e successivamente portato al distretto di polizia dove il piccolo è stato trattenuto agli arresti per altre 6 ore. Anche il padre del bambino che era stato derubato ha condannato il comportamento della polizia dicendo tra l'altro che era stato semplicemnte un malinteso tra i due bambini. Era stata la mamma del bambino derubato a presentarsi all'ufficio del direttore della scuola per denunciare il fatto che suo figlio era stato picchiato e derubato da Wilson qualche giorno prima. A questo punto il direttore della scuola ha chiamato la polizia per denunciare l'episodio a sua volta definito come una vera rapina. Dopo la denuncia del NY Post ed il clamore suscitato da tutta la vicenda, la polizia di New York ha avviato un'inchiesta interna per verificare il comportamento degli agenti coinvolti nella storia. La mamma di Wilson, il bimbo arrestato, ha presentato un ricorso contro la città di New York chiedendo come risarcimento la somma di 250 milioni di dollari a fronte dei maltrattamenti subiti dal figlio. Paul Browne, capo della polizia di New York, dopo avere avviato l'inchiesta interna, ha definito "distorte e mistificatorie" le accuse della madre di Wilson. Come andrà a finire?  Non si può "arrestare un bambino di 7 anni" e trattarlo come se fosse un criminale: è sempre un bambino.

FONTE.

mercoledì 30 gennaio 2013

Famiglia russa isolata per 40 anni

RUSSIA - Caso limite di una famiglia russa, i Lykov.
I Lykov facevano parte di una setta religiosa ortodossa che era perseguitata dagli Zar e dai sovietici. Per nascondersi dalle persecuzioni, il capo famiglia Karp prese la moglie e i due figli e, abbandonando la propria città natale, scapparono tra le montagne. Tra i pochi bagagli solo alcuni attrezzi per coltivare la terra. Per oltre quarant'anni, dal 1936 al 1978, la famiglia Lykov ha vissuto in una capanna di legno vicino al fiume Abakan, al confine con la Mongolia, nella taiga siberiana e a 150 chilometri dall'insediamento conosciuto più vicino. Qui sono rimasti isolati dal mondo, da tutto quello che succedeva giornalmente, nessuna compagnia, niente notizie, nessun tipo di tecnologia, nessun contatto esterno: insomma, niente di niente. Addirittura, i componenti della famiglia, non conoscevano neanche la seconda guerra mondiale e tutti i protagonisti politici degli anni '30, compresi Hitler e Mussolini. La loro vita è stata semplice ed hanno vissuto di ciò che aveva da offrire la natura e la terra coltivata.
La storia, che ha davvero dell'incredibile, è stata resa nota solo ora.
Quando si dice " fuori dal mondo".

martedì 29 gennaio 2013

L'Inghilterra scoraggia gli immigrati dell'est

Il governo di Londra sta pianificando una campagna pubblicitaria per scoraggiare l'arrivo di immigrati nel futuro più prossimo. Lo slogan pensato dice che "nel Regno Unito piove sempre ed il lavoro è poco e sottopagato". Questa campagna pubblicitaria è però rivolta solo ai probabili e futuri arrivi di immigrati dalla Romania e dalla Bulgaria che, a partire dal 1° gennaio del 2014, avranno il diritto, senza restrizioni, di vivere e lavorare nel Regno Unito in base alle norme comunitarie. Il governo di Londra teme un arrivo in massa di cittadini da questi due Paesi, difficilmente contenibile, ed ha allo studio l'ipotesi di tapezzare sia Bucarest che Sofia di manifesti atti a scoraggiare futuri avventori immigrati. E' ormai da diverso tempo che in tutta la Gran Bretagna vengono diffuse cifre riguardanti questo futuro fenomeno, ma ovviamente non se ne può conoscere l'effettiva portata. Qualcuno parla di 250.000 arrivi da entrambe i Paesi nei prossimi cinque anni. Certo è che  la Gran Bretagna si sta preparando, o quantomeno ci sta provando, per potere minimizzare il più possibile la nuova ondata di immigrati dall'est europeo.